„Kleinboden“ – „Campo Piccolo“

La linea di difesa austriaca prima dello scoppio della guerra

Il piano di difesa austriaco (1912) prevedeva di respingere un eventuale attacco italiano attraverso il Passo dello Stelvio su uno sbarramento posteriore. Questa linea di difesa, ancorata al vetusto Forte Gomagoi, correva verso nord fino a Campo Piccolo (Kleinboden) e verso sud fino alla cresta dello Zumpanell. Le tracce che si trovano oggi a Kleinboden testimoniano questa intenzione divensiva, che tuttavia non si realizzò durante la guerra.

Non lontano dal rifugio Forcola (Furkelhütte), facilmente raggiungibile anche con la seggiovia da Trafoi, si trovano le testimonianze delle postazioni di artiglieria dell’epoca:

    • l’intenzione originaria dell’Austria di difendere il Passo dello Stelvio
    • l’importanza della fortezza di Gomagoi

Punto di partenza: Trafoi, con la seggiovia per il rifugio Forcola o dal Passo Stelvio sul sentiero “Trais Linguas” fino al Goldsee e poi al rifugio Forcola. (circa 3 ore)

Punto di arrivo: Trafoi

Tempo di percorrenza: 60 minuti dal rifugio Forcola

Segnaletica: con pannelli informativi

Requisiti: passeggiata facile, senza dislivelli significativi.

PERCORSO “KLEINBODEN”

Le spiegazioni che seguono illustrano i luoghi lungo il percorso e ne chiariscono il significato storico. Non è necessaria una descrizione dettagliata del tracciato: i punti indicati di seguito sono facilmente individuabili sul terreno.

 

 

A: Stazione a monte: informazioni generali B: Postazione di difesa ravvicinata C: Rifugio dell’osservatore e posizione del faro D: Settore delle posizioni d’artiglieria E: Sentiero per il settore del Goldensee F: Fortezza di Gomagoi

DESCRIZIONE DEL PERCORSO DAL PUNTO DI VISTA STORICO-MILITARE

Le spiegazioni che seguono evidenziano i luoghi del percorso e ne chiariscono il significato storico. Non è necessaria una descrizione dettagliata del percorso. I punti di interesse illustrati di seguito sono facilmente riconoscibili sul terreno.

 

 

Intenzioni di difesa della Duplice Monarchia austro-ungarica

Le idee originarie di Vienna per la difesa dei territori asburgici in Alto Adige e Trentino trovano riscontro locale a “Kleinboden” e, in misura ancora maggiore, nella fortezza di “Gomagoi”. Tuttavia, per comprenderle appieno, è necessario un ulteriore chiarimento che consenta di cogliere il contesto operativo complessivo.

In seguito alla seconda guerra d’indipendenza italiana (1859, con la decisiva battaglia di Solferino) e soprattutto alla terza (1866, con le importanti battaglie di Custoza, Lissa e Bezzecca), l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria e il suo stato maggiore tornarono a concentrarsi sulla difesa dei territori rimasti all’Impero dopo le perdite subite nel Nord Italia. Il risultato di tali considerazioni fu la costruzione di una notevole linea di fortificazioni composta da opere d’artiglieria e sbarramenti difensivi.

Queste opere furono erette in prossimità del confine, in posizioni che avevano perfettamente senso dal punto di vista militare, ma spesso si trovavano a diversi chilometri di distanza dall’effettivo confine imperiale.

 

La linea di fortificazioni austriache per la difesa del territorio imperiale. Diverse sezioni di essa, in caso di emergenza, avrebbero dovuto essere cedute senza combattere. Tra queste vi era anche la valle di Trafoi, dalla sommità del Passo dello Stelvio fino a Gomagoi. Illustrazione da: Accola/Fuhrer, Stilfserjoch-Umbrail 1914-1918, Dokumentation, Militärgeschichte zum Anfassen, Au, 2000.

Una di queste opere di sbarramento fu costruita a Gomagoi, alla confluenza dei torrenti Solda e Trafoi. Si trattava di uno sbarramento stradale dotato di armamento a corto raggio. Oggi la strada attraversa letteralmente il centro della “fortezza” – mentre durante la guerra, quest’ultima veniva aggirata a nord.

L’opera di sbarramento di “Gomagoi” con il riconoscibile tracciato stradale dell’epoca a nord della fortezza. Illustrazione tratta da: Lempruch, il re delle Alpi tedesche, digitale: Collezione Knoll, Archivio MUSEO 14/18.

Il posto di blocco di Gomagoi

L’opera fu realizzata negli anni 1860–62. L’edificio in muratura si sviluppava su tre piani. In realtà sarebbe rimasto intatto, se non fosse stato successivamente sfondato al centro per permettere il passaggio della strada (l’attuale Statale 38).

Si trattava di un blocco stradale nel vero senso della parola, poiché l’impianto si trovava direttamente sulla Reichsstrasse. Per attraversarla era necessario passare tra il fianco destro, cioè settentrionale, dell’opera e il muro di contenimento del ripido pendio del contrafforte dell’Übergrimm, distante circa quattro metri: si entrava da un portale interno, si passava accanto a una casamatta di guardia, poi si usciva attraverso un portale esterno e si superava infine un ponte levatoio.

All’inizio della Prima guerra mondiale, la barriera era già irrimediabilmente obsoleta (le sue mura erano costruite in pietra), ma fu comunque messa in stato di allerta nel 1914.

 

Il blocco stradale Gomagoi. Da: “Equipaggiamento generale del progetto Gomagoi della K.&k. Geniedirektion Brixen”, Archivio di Stato di Vienna, digitale: Archiv MUSEUM 14/18.
Gomagoi Bau Schussfeld
Per la costruzione dell’opera di sbarramento furono abbattuti edifici permanenti, al fine di garantire il necessario campo di tiro. In gergo tecnico, per questo si usava il termine “rasatura”. Immagine tratta da: “Lempruch, il re delle Alpi tedesche…”, Collezione Knoll, Archivio MUSEO 14/18.
 
Gomagoi
La barriera stradale con la sezione centrale oggi mancante, in un’immagine del 2005. Immagine: Wikipedia, termine di ricerca Gomagoi roadblock.
 

La protezione contro manovre di aggiramento da parte del nemico doveva essere garantita dalle postazioni laterali su entrambi i lati della valle. La protezione del fianco destro (nord) era fornita dalle posizioni di “Goldsee” (vedi Sentiero “Trais Linguas”), “Kleinboden” e “Schafseck”. La protezione del fianco sinistro (sud) era assicurata dalle posizioni della fanteria sulla ripida cresta dello “Zumpanell”.

Misure di protezione dei fianchi del sbarramento stradale di Gomagoi. Non visibile sulla mappa: la posizione di Goldsee. Mappa: map.geo.admin.ch, a cura di Accola.

Lo sbarramento era presidiato da distaccamenti di varie unità. Fonti documentarie attestano la presenza dei due reggimenti di fucilieri territoriali (Landesschützen), Trento (n. I) e San Candido (n. III), del battaglione di artiglieria da fortezza n. 4 (Riva), nonché di un distaccamento del corrispondente battaglione n. 7 (Malè, Val di Sole).

L’armamento dello sbarramento stradale consisteva in sei cannoni a casamatta (calibro 9 cm), un cannone a casamatta (8 cm) e cinque mitragliatrici protette da piastre corazzate.

  • la batteria di Taufers, con un totale di quattro cannoni da 9 cm
  • la batteria di Kleinboden, con due cannoni da 9 cm
  • la batteria di “Schafseck”, con quattro cannoni, due da 9 cm e due da 8 cm
  • la batteria di “Goldsee”, con due mortai da 15 cm di calibro
  • la batteria in caverna “Steinadler”, con due cannoni da casamatta da 8 cm, prelevati dall’opera fortificata – ancora più antica – di “Nauders” e posizionati in loco.
La copertura di artiglieria pianificata nel 1913 per la protezione dello sbarramento di Gomagoi. Sono chiaramente riconoscibili i settori di efficacia e le aree bersaglio delle postazioni di “Goldsee”, “Schafseck” e “Kleinboden”, nonché il campo d’azione dei cannoni da casamatta dello sbarramento stradale. Da: “Equipaggiamento generale di progetto Gomagoi della K.&k. Geniedirektion Brixen”, Archivio di Stato di Vienna, digitale: Archiv MUSEUM 14/18.

Le postazioni di artiglieria sul “Campo Piccolo” (Kleinboden) e al ”Dosso delle Pecore“ (Schafseck)

Il ruolo dei due settori di postazione è stato descritto in dettaglio in precedenza. L’accesso avveniva attraverso Stelvio (Stilfs) e la Malga di Prato (Prader Alm), dove venivano alloggiate anche le truppe. A questo scopo furono costruiti numerosi edifici di alloggio che furono utilizzati anche dopo lo scoppio della guerra, anche se dal maggio 1915 la linea di combattimento principale correva lungo il Passo dello Stelvio.

Una lapide commemorativa situata nei pressi della Malga di Prato ricorda le tredici vittime dell’incidente da valanga del 25 febbraio 1916.
Rimasero coinvolti membri del I Reggimento Kaiserjäger, del 4° Battaglione di Artiglieria da Fortezza e fucilieri territoriali (Standschützen) della compagnia di Stelvio.

Un estratto del diario della truppa descrive la situazione il giorno dell’incidente.

 

 

 

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La lapide commemorativa sulla Malga di Prato, non lontano dal settore di postazione di artiglieria “Kleinboden”.
 

 

 

Tagebuch 25 02 2016
Trascrizione del diario del comandante del comando Rayon I del 25 febbraio 1916 Fonte: Archivio di Stato di Vienna, Archivio: MUSEO 14/18.

La posizione originaria dei pezzi d’artiglieria è facilmente individuabile sul terreno grazie ai documenti dell‘ “Ausrüstungsgeneralentwurf der K.&k. Geniedirektion Brixen”. Questa ampia raccolta, conservata presso l’Archivio di Stato di Vienna, documenta sia la pianificazione che l’attuazione del settore di postazione destro dello sbarramento stradale di Gomagoi.

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Il settore di postazione “Kleinboden”, da: “Progettazione generale dell’attrezzatura …”, Archivio: MUSEO 14/18
 
Schafseck WEB
Il settore di postazione “Schafseck”, da: “Progetto generale dell’attrezzatura …”, archivio: MUSEO 14/18

Protezione della posizione di artiglieria

Per la protezione ravvicinata di entrambe le postazioni d’artiglieria furono predisposte postazioni di fanteria e posti di osservazione.

La trincea di Kleinboden

La protezione della postazione di “Kleinboden” doveva essere garantita da un’imponente postazione di fanteria, tuttora percorribile per l’intero tracciato. L’opera difensiva, in cemento armato e coperta, era dotata di feritoie dall’aspetto medievale e si estendeva trasversalmente sull’altopiano.

 

 

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La trincea di Kleinboden. Foto Accola, 2006.
 
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Accesso dalla montagna alla postazione della fanteria sul Kleinboden. Foto: Accola, 2006.

LA POSTAZIONE DI FANTERIA A SCHAFSECK

La protezione della posizione di Schafseck, situata poco a nord del settore di postazione d’artiglieria di Kleinboden, è decisamente meno imponente, nonostante vi fossero schierati lo stesso numero di pezzi d’artiglieria. È possibile che questo settore di postazione sia stato integrato nella pianificazione e realizzazione solo in un secondo momento – benché le fonti non lo confermino esplicitamente – tuttavia: non si riscontrano strutture protettive in cemento per contrastare attacchi di fanteria.

Oggi è ancora possibile riconoscere sul terreno il tracciato delle relative trincee. Un estratto di una fotografia del 1916 del Servizio informazioni svizzero documenta lo stato di sviluppo delle opere all’epoca. Gli aggiornamenti manoscritti si basano sulla situazione dell’autunno 1917.
Si può presumere che il settore di postazione non sia mai stato completamente fortificato.

Lo “Schafseck” su una rappresentazione del Servizio Informazioni Svizzero nel 1916, integrata nel 1917. Visibili da sinistra a destra: la Prader Alm, la postazione “Schafseck” con le postazioni di fanteria di protezione e la postazione “Kleinboden”, fonte: Archivio Federale di Berna, fondo E 27, digitalizzazione ed elaborazione: Archiv MUSEUM 14/18.
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Vista dallo “Schafseck” verso la Malga di Prato. Prato (a sinistra) e Gomagoi (a destra presso il torrente Trafoi) sono riconoscibili. Foto Accola, 2006.
 
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La postazione di artiglieria su Kleinboden, vista dallo “Schafseck”. Foto: Accola, 2006.

La “postazione del faro”

A sud del settore di postazione d’artiglieria di Kleinboden si trova, poco sotto la vistosa antenna situata sul margine del pianoro, un ricovero in cemento armato dotato di una feritoia per mitragliatrice.
Grazie a una gittata di 2000 metri, l’arma su affusto poteva da lì coprire il margine sud dell’abitato di Trafoi e un tratto della strada dello Stelvio.

Per individuare per tempo eventuali attacchi notturni, accanto all’arma venne installato un proiettore. Si trattava di fari ad arco a carbone di grande potenza. Questi proiettori, nelle versioni standard, erano dotati di uno specchio parabolico del diametro di 1,5 metri (“150”) o 2 metri (“200”), nel cui fuoco era montata una lampada ad arco costituita da due elettrodi compressi in carbone e tungsteno.
L’apertura frontale dello specchio era chiusa da un vetro di quarzo resistente al calore, a forma di coperchio circolare, che poteva essere aperto per la sostituzione degli elettrodi e la manutenzione. L’impianto richiedeva un’elevata potenza elettrica (circa 12–15 kW), fornita da generatori alimentati a benzina o diesel.

La postazione di mitragliatrici e proiettori ai margini della postazione di artiglieria “Kleinboden”. Foto: Accola, 2006.
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Sulla via della „postazione del faro“, la vista si apre verso lo Stelvio; foto Accola, 2006.
 
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Vista dalla postazione del faro sull’Ortles e sulla catena montuosa di Trafoi.

Gli avvenimenti della guerra lungo il “fronte dell’Ortles”

 

Percorrendo i nostri sentieri escursionistici, lo sguardo si sposta inevitabilmente e ripetutamente verso sud-sud-est per ammirare l’impressionante panorama montano. Grazie alle informazioni fornite di seguito, potrete ammirare i pendii ghiacciati e le creste rocciose ancora esistenti da una prospettiva completamente diversa, poiché durante la guerra vi furono battaglie e attacchi senza pari.

Le postazioni lungo il confine tra l’Ortles e la Tuckettspitze. Le basi austriache sono indicate in blu, quelle degli Alpini in rosso. Illustrazione: Accola, sulla base di una fotografia scattata nel 2006.

Ciascuna delle vette montuose rappresentate sopra potrebbe raccontare la propria storia di guerra. Due eventi, tuttavia, colpiscono in modo particolare e verranno qui descritti come rappresentativi delle azioni – oggi inimmaginabili – compiute da entrambe le parti in conflitto.

IL TRASPORTO DEI CANNONI SULLA VETTA DELL’ORTLES

La salita alla vetta glaciale dell’Ortles, alta 3905 metri, è generalmente riservata ad alpinisti esperti. È necessaria un’attrezzatura adeguata e la conoscenza dei rischi e dei pericoli alpini. Chi intende affrontare l’ascesa di questa montagna imponente dovrebbe farlo preferibilmente accompagnato da una guida alpina locale.

La via normale per raggiungere questo gigante di ghiaccio passa dalla Payerhütte e richiede buona sicurezza nei passaggi su terreno roccioso facile ma esposto (grado di difficoltà 1–2, con un breve tratto di grado 3+) e passo sicuro su firn o ghiaccio ripido (tratti fino a 40° di inclinazione). Gli aspiranti all’Ortles dovrebbero partire solo con condizioni meteorologiche stabili: la cresta rocciosa diventa insidiosa con neve, e sull’altopiano sommitale dell’Ortles è facile perdere l’orientamento. Nel complesso, tuttavia, si tratta di una delle più belle ascensioni d’alta quota delle Alpi Orientali, con una vista spettacolare sul mondo dei ghiacciai dopo circa cinque ore di salita. (Fonte: www.bergsteigen.com)

Su questo stesso itinerario si svolse, nell’estate del 1916, il trasporto di diversi cannoni da montagna, che vennero posizionati sulla vetta e sul Pleisshorn. Il caposaldo sommitale fu occupato in permanenza da circa 30 uomini ed era protetto da un posto di guardia avanzato con due mitragliatrici sul crinale dell’Hochjoch. Quella posizione era collegata all’alloggio tramite una galleria scavata nel ghiaccio lunga 150 metri.

 

 

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Il punto di partenza per il trasporto era il rifugio Julius Payer, raggiungibile dalla Val di Solda tramite una teleferica da trasporto. Il possente rifugio del Club Alpino Tedesco, situato a 3029 metri di altitudine sulla cresta del Tabaretta, fu costruito nel 1875. Immagine: Haller, Collezione Knoll, Archivio MUSEO 14/18.

 

Ortler Aufstiegsroute Payerhütte Soldaten
Traccia di salita sotto la cima del Tabaretta, lungo il percorso verso i “Wandeln” e la “Scharte”, da dove l’itinerario proseguiva sul Ghiacciaio Superiore dell’Ortles fino alla vetta (in alto a sinistra), collezione Knoll, Archivio MUSEO 14/18.
 

Per il trasporto dei “cannoni dell’Ortles” furono impiegati sia gli “Standschützen” del battaglione di Prato allo Stelvio (con militari appartenenti alle compagnie I. Prato, II. Lasa, III. Cengles e IV. Lichtenberg), sia prigionieri di guerra russi. La direzione tecnica del trasporto alpino era affidata alle guide alpine della 30ª Compagnia d’alta montagna, responsabili delle necessarie misure di sicurezza.

Da queste unità specializzate si distinsero diversi personaggi, i cui nomi e imprese sono tuttora ricordati. Il capitano Luis Molterer era comandante della compagnia, il cui prestigio si consolidò grazie alle operazioni sull’Ortles, sull’Eiskögele e sulla parete ghiacciata di Trafoi.
Il tenente Leo Handel, noto come il “maestro delle costruzioni nel ghiaccio della Marmolada”, applicò in seguito la sua esperienza sulla Hohen Schneid.
Il tenente meranese Franz Haller entrò nella storia locale e militare come comandante dei trasporti d’artiglieria sull’Ortles.

Il dott. Franz Haller, ufficiale e guida alpina che coordinò tutti i trasporti dei pezzi d’artiglieria verso le postazioni in quota, descrisse così il trasporto dei primi due cannoni dell’Ortles nell’estate del 1916:

I due pezzi furono trasportati da Gomagoi attraverso la Val di Solda fino a Solda, e da lì, con grandi difficoltà, all rifugio Payer (Payerhütte).
La teleferica di trasporto fino al rifugio poteva essere utilizzata solo per le parti più leggere degli affusti e per le munizioni, poiché la capacità di carico dei cavi non era sufficiente. Dalla Payerhütte in poi, il trasporto avvenne su slitte – ciascun pezzo poteva essere diviso in due parti.
Trenta guide alpine e altrettanti prigionieri di guerra russi trascinarono il primo cannone lungo la ripida cresta dell’Ortles fino alla vetta.

Nel testo originale, Haller prosegue:

«Dopo altri cinque giorni, tutte le parti del primo pezzo si trovavano sulla vetta dell’Ortles, e gli artiglieri iniziarono immediatamente il montaggio. Allo stesso modo fu trasportato anche il secondo cannone, senza incidenti, fino alle alte quote, e fu posizionato sul fianco destro dell’Ortles, al Pleisshorn. Nei giorni successivi arrivarono anche le munizioni, e a quel punto eravamo pronti a far fuoco.»

 

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I cannoni venivano trasportati alle postazioni in due carichi parziali (laffette o tubi) su slitte. 24 uomini le trainavano con delle corde. Immagine: Haller, Collezione Knoll, Archivio MUSEO 14/18.
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I carichi parziali dei trasporti di cannoni – pochi metri sotto la cima dell’Ortles. Immagine: Haller, Collezione Knoll, Archivio MUSEO 14/18.
 

L'USO DI PRIGIONIERI DI GUERRA

Se vogliamo togliere qualcosa di inglorioso al grande risultato dei trasporti d’armi, va notato che l’uso dei prigionieri di guerra russi era contrario al diritto internazionale. La “Convenzione dell’Aia sulla guerra di terra” (HLKO), tuttora in vigore, era già stata firmata nella versione del 1899 da tutti i belligeranti che poi parteciparono alla Prima Guerra Mondiale.
Il secondo capitolo di questo accordo, che è vincolante per il diritto internazionale, descrive i diritti e i doveri dei prigionieri di guerra, con l’articolo 6 che afferma, per quanto riguarda il loro lavoro:
“Lo Stato è autorizzato a impiegare i prigionieri di guerra, ad eccezione degli ufficiali, come lavoratori secondo il loro grado e le loro capacità. Tale lavoro non deve essere eccessivo e non deve essere in relazione con lo sforzo bellico”.
Mentre l’uso dei prigionieri di guerra per i lavori di raccolta era legale, l’uso dei prigionieri per i lavori di rifornimento in prima linea sulle montagne rientrava certamente nella categoria del “lavoro eccessivo” vietato ed era direttamente collegato allo “sforzo bellico”.

 

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Le uniformi straniere lo rivelano: prigionieri di guerra che trasportano armi sull’Ortles. Immagine: Haller, Collezione Knoll, Archivio MUSEO 14/18.
Ortler Geschütztransport Kriegsgefangene Haller
I diversi copricapi sono ben riconoscibili, in particolare il berretto piatto del fante russo, chiaramente inadatto all’ambiente di montagna. Immagine: Haller, Collezione Knoll, Archivio MUSEO 14/18

La base della vetta

Prima del trasporto dei pezzi d’artiglieria, e in particolare per l’alloggiamento dell’equipaggio di vetta, furono realizzate sul ghiacciaio sommitale dell’Ortles le infrastrutture necessarie. Anche per queste misure, il legname da costruzione e la legna da ardere, le stufe per il riscaldamento di fortuna, il cibo e tutto il necessario dovevano essere portati in vetta attraverso il percorso descritto.

Inoltre, nel periodo antecedente la vetta, è stata allestita una guardia campale per sorvegliare le misure italiane sul Passo dell’Ortles e sull’Hochjochgrat. Ostacoli di filo e trincee di fanteria dovevano proteggere la posizione dei pezzi di artiglieria dagli attacchi nemici.

 

Ortler Eingang Zur Gipfelkaverne
Accesso al rifugio, costruito in una grotta di ghiaccio pochi metri sotto la vetta. Immagine: Haller; Archivio: MUSEO 14/18, Collezione Knoll.
Ortler Gipfelkaverne Mannschaft(2)
Interno del rifugio sulla cima dell’Ortles. Immagine: Haller; Archivio: MUSEO 14/18, Collezione Knoll
Ortler Hochjochgrat MgStellung Trafoier
La vista dal posto di guardia sull’ Hochjochgrat verso la Thurwieserspitze, occupata dagli italiani. A destra, la doppia cima della parete ghiacciata di Trafoi, anch’essa in mano italiana al momento dell’occupazione dell’Ortles nell’estate del 1916. Immagine: Haller; Archivio: MUSEO 14/18, Collezione Knoll.
Ortler Gipfelstützpunkt Drahthindernis Königspitze
Ostacoli in filo metallico per la difesa ravvicinata della base dell’Ortles. Dominante: la cima della Königsspitze, la cui occupazione nell’estate del 1917 portò a una vera e propria gara tra i due avversari. Immagine: Haller; Archivio: MUSEO 14/18, Collezione Knoll

I cannoni dell’Ortles

Non è possibile stabilire con certezza quanti pezzi d’artiglieria furono effettivamente posizionati sulla vetta dell’Ortles tra l’estate del 1916 e l’ultimo anno di guerra. Esistono tuttavia numerose fotografie di cannoni da montagna il cui posizionamento, sulla base dell’ambiente visibile, può essere collocato sulla cima o nelle sue immediate vicinanze.

Anche i rapporti dal fronte forniscono ripetute informazioni sull’efficacia dei cannoni dell’Ortles, ma non si può escludere che sulla vetta siano avvenuti cambiamenti di posizione, e che siano stati trasportati ulteriori pezzi d’artiglieria.

È documentato il trasporto di due cannoni nell’estate del 1916, con posizione e raggio d’azione noti. Haller ne descrive almeno il “battesimo del fuoco” in questi termini:

«Sulla Thurwieser fu allestita una postazione italiana di mitragliatrice che rendeva estremamente difficile l’avanzata dei reparti tirolesi verso il Kleines Eiskögele.

La guarnigione tirolese dell’Ortles riuscì, con un solo colpo – un vero capolavoro – sparato dal pezzo appena trascinato in cima, a polverizzare il nido di mitragliatrici italiano sulla Thurwieser.»

È altresì documentato il trasporto di altri due pezzi nell’agosto 1916 al Pleisshorn, con settore operativo rivolto al Passo dell’Ortles. Questi due cannoni da montagna appartenevano a un modello leggermente più moderno.

Successivamente, la documentazione si fa più scarna: con la “corsa alla Königsspitze” si rese necessaria una nuova azione d’artiglieria.

Tuttavia, non è possibile determinare con certezza se furono trasportati ulteriori pezzi, oppure se si trattò di ripiazzamenti di quelli già presenti sulla vetta.

Se nel 1916 fosse già esistito un premio per la “foto stampa dell’anno”, questa immagine della cannone da montagna da 7 cm M1899 sulla vetta dell’Ortles sarebbe certamente rientrata nella rosa dei finalisti. La piastra corazzata fu rimossa affinché, attraverso l’inquadratura abilmente costruita, si trasmettesse al mondo il messaggio che il punto d’appoggio più alto della Prima guerra mondiale era saldamente in mani austriache. In direzione del tiro: la vetta della Königsspitze, a sinistra il Cevedale. Immagine: Franz Haller, Archivio MUSEO 14/18, Collezione Imboden.
Ortler Geschütz In Stellung Thurwieser
Il primo cannone dell’Ortles (3860 metri di altitudine) con il settore di efficacia della Thurwieserstellung. Immagine tratta da: Lempruch; Archivio digitale: MUSEO 14/18.
Ortler Geschütz In Stellung
Il secondo cannone dell’Ortles (sul Pleisshorn) con il settore di efficacia del Passo dell’Ortles. Immagine tratta da: Lempruch; Archivio digitale: MUSEO 14/18.
Direzioni di tiro dei cannoni dell’Ortles verso i punti nevralgici del Passo dell’Ortles (dal Pleisshorn), della Thurwieser e della Königsspitze (Il Gran Zebru)  (dal caposaldo dell’Ortles); Carta escursionistica Kompass dell’Alto Adige online; Elaborazione: Accola
Ortlergeschuetz
Le installazioni militari sull’Ortles viste dalla Rötelspitze. Dettaglio tratto da un’immagine rielaborata del Servizio informazioni svizzero: Fonte; Archivio Federale fondo E27, Archivio Digitale: MUSEO 14/18.
Ortler Gipfel Geschütz In Stellung
Il cannone dell’Ortles, in posizione pochi metri sotto la cima. Immagine: presumibilmente Haller, Archivio: MUSEO 14/18, Collezione Knoll

Impatto e mito

Nel dopoguerra si discusse spesso e in modo controverso se l’enorme sforzo per posizionare e rifornire i cannoni sulla cima dell’Ortles fosse valso la pena. In termini economici, si tratterebbe di valutare un bilancio tra l’investimento sostenuto e il risultato ottenuto. Naturalmente, il bilancio finale non può che risultare in perdita; anche i soldati dell’Ortles furono, nel novembre 1918, tra i perdenti della guerra.

Benché i cannoni dell’Ortles fossero già all’epoca “vecchie signore”, costruiti nel 1899 e superati tecnologicamente rispetto ai modelli più recenti in dotazione all’esercito da campagna, la loro disponibilità e soprattutto l’affidabilità ha avuto una rilevanza.

La possibilità di colpire le postazioni italiane sulla Thurwieser e sulla Königsspitze fu determinante per l’andamento dei combattimenti lungo quelle creste e cime, in estate e autunno 1917, come verrà mostrato nel prossimo capitolo.

Il controllo del “Re delle Alpi tedesche”, l’occupazione del più alto caposaldo della Prima guerra mondiale, la capacità di mantenere a lungo i rifornimenti su quel punto estremo: tutto ciò colpì profondamente sia i militari che la popolazione civile, tenuta costantemente informata tramite la stampa dell’epoca sull’impegno difensivo delle forze imperiali e reali (k.u.k.).

Rispetto ad altri settori,  anch’essi spettacolari, del fronte sud-orientale austriaco, disponiamo oggi di un’ampia documentazione fotografica proveniente dal “Verteidigungsrayon I”, in particolare dal settore “Ortles”.

Le immagini, allestite principalmente per la stampa locale, vennero generosamente rese pubbliche e diffuse dalla censura militare, contribuendo a consolidare il mito di una “resistenza disinteressata contro i traditori italiani (i cosiddetti ‘walschen’)”.

 

Cima Trafoi – Trafoier Eiswand

Un’ulteriore prova di forza da parte di entrambi gli schieramenti è testimoniata dagli eventi che si svolsero attorno alla vetta della parete ghiacciata di Trafoi. Come già lascia intuire il nome di questa cima, alta 3566 metri: qui tutto è ripido, ghiacciato e gelido! Per comprendere il significato degli scontri descritti nei paragrafi seguenti, è necessario conoscere la linea del fronte nell’estate del 1917.

 

Tracciato del fronte nell’estate del 1917. Linea occupata dall’Austria-Ungheria (blu): Dreisprachenspitze – Stilfserjoch – Monte Scorluzzo – Passo delle Plattigiole – Naglerspitze (Cima del Chiodo) – Geisterspitze (Punta degli Spiriti) – Hohe Schneid Ostgpifel (Monte Cristallo) – Payerspitze (Punta Payer) – Tuckettspitze (Cima Tuckett) – Madatschkamm (Madaccio) – Schneeglocke (Cima di Campana) – Kleines Eiskögele (Piccolo Coni di Ghiacco)  – Ortler (Ortles) – Königspitze  (Il Gran Zebru)… Linea italiana occupata (rossa): Passo Umbrail – Rese di Scorluzzo – Filone del Mot – Monte Cristallo (Hohe Schneid Westgipfel) – Passo dei Camosci – Trafoier Eiswand – Bäckmanngrat – Cima Thurwieser (Thurwieserspitze) – Passo del Ortles (Ortlerpass) – Cresta del Giogo Alto (Hochjochgrat) – Monte Zebru – Il Gran Zebru (Königsspitze) (posizione di spalla). Carta: Kompass, carta escursionistica online, a cura di Accola.

UNA LACUNA DOLOROSA – IL PALO NELLO STOMACO

Esaminando attentamente l’andamento delle due linee del fronte, si nota che la linea di cresta dallo Stelvio fino alla Grosse Schneeglocke era occupata da truppe austriache. Il tratto successivo — dalla parete ghiacciata di Trafoi, passando per la cresta del Bäckmann, fino alla vetta della Thurwieserspitze e al Passo dell’Ortles — era invece in mano italiana, il che dava agli italiani un vantaggio decisivo: la visuale diretta su tutti i movimenti lungo la strada dello Stelvio.

Colonne di rifornimento dirette verso la Franzenshöhe, ma anche piccoli gruppi di supporto destinati alle postazioni austriache in quota, potevano essere osservati con precisione, e l’osservatore d’artiglieria italiano, posizionato in zona, dirigeva con estrema accuratezza il fuoco contro di essi. La massima attribuita al grande Clausewitz, secondo cui “chi controlla le alture, domina anche le profondità e le valli”, trovava qui una realizzazione esemplare. Questa “spina nell’occhio” — che Lempruch definì addirittura “un palo nello stomaco” del dispositivo difensivo austriaco nel suo settore — doveva essere eliminata.

 

Punti di appoggio e guardie campali nell’area della “falla” nello schieramento difensivo austriaco lungo la linea di cresta sul Bäckmanngrat. Posizioni austriache (blu) da sinistra a destra: Tuckettjoch – Madatschkamm – Schneeglocke – Nashorn – Kleines Eiskögele. Posizioni italiane (rosse) da sinistra a destra: Passo dei Camosci – Trafoier Eiswand – Bäckmanngrat con diverse guardie campestri – Thurwieserspitze – Eiskögele – Ortlerpass. Carta: Kompass, carta escursionistica online, a cura di Accola.

Le postazioni avanzate di guardia italiane lungo la cresta del Bäckmann dovevano quindi essere sgomberate. Moritz von Lempruch, nella sua relazione illustrata, analizza le varianti e i rischi connessi all’attuazione di questa operazione, ritenuta indispensabile. Esamina tutte le opzioni e giunge infine alla conclusione che la più complessa fosse anche la più promettente. Il caposaldo italiano in vetta alla parete ghiacciata di Trafoi avrebbe dovuto essere conquistato tramite la costruzione di un tunnel nella ripidissima parete nord, con pendenze fino a 50 gradi. Le truppe d’assalto avrebbero dovuto sorprendere la guarnigione italiana durante la notte, impadronirsi dei suoi alloggiamenti e occupare in modo permanente la vetta della parete. Le operazioni di sgombero della linea di posti avanzati lungo il Bäckmanngrat e sulla Thurwieserspitze avrebbero dovuto svolgersi successivamente, partendo da lì.

Tunnel Trafoier Eiswand
Vista dallo Schneeglocke verso la cima dell’Eiswand. 1: spalla dell’Eiswand occupata dagli austriaci (3421), 2: cima dell’Eiswand (3565), 3: Ortlerhochjochgrat, 4: Eiskögele; 5: Ortlervorgipfel; ….. Percorso della galleria d’attacco, 6-6: feritoie italiane. Illustrazione e legenda da Lempruch, Ortlerkämpfe.
Eiswand Tunnel
Descrizione dell’immagine sul retro della fotografia: “All’inizio della pendenza, scale a chiocciola vengono scavate nel ghiaccio. Galleria d’attacco, parete ghiacciata di Trafoi”. Fonte: Archivio Schaumann, digitale: MUSEO 14/18, Collezione Schaumann.

L’attacco

Lempruch descrive lo svolgimento dell’attacco nel suo resoconto nei seguenti termini:

«La sortita e la conquista della posizione erano previste per le prime ore del mattino del 1° settembre 1917 — e furono effettivamente realizzate. In precedenza, erano stati eseguiti con la massima precisione tutti i preparativi necessari, tra cui: il deposito scaglionato delle scorte di viveri all’interno della galleria lunga circa 1500 metri, la predisposizione del materiale per la teleferica al fine di attivare immediatamente una linea di rifornimento verso la posizione conquistata, l’accumulo di munizioni, ecc.»

 

La Hochgebirgskompanie 30 prima dell’assalto al muro di ghiaccio durante la marcia verso Trafoi. Fonte: Archivio Schaumann, digitale: MUSEO 14/18, Collezione Schaumann.

«Quando l’irruzione a sorpresa ebbe successo, e il posto di guardia in vetta, ancora intorpidito dal sonno, fu catturato in silenzio, e anche la linea di allarme nemica venne tagliata, si scoprì che la truppa era alloggiata in una baracca situata su un gradino roccioso a sud della postazione sommitale, circa 50 metri più in basso.

Il tenente Bayer, deciso, si calò con alcuni dei suoi uomini più audaci lungo la ripida parete rocciosa, per cercare di sorprendere il nemico nella sua baracca, ormai allertato dal rumore inevitabile e già in procinto di aprire il fuoco. Le nostre truppe di fuoco, appostate tra spuntoni di roccia e ghiaccio nei pressi del punto di sortita, appoggiarono l’azione della cordata, ora sotto tiro intenso, con colpi ben mirati. Parte del nemico, mal vestito, fuggì dalle baracche; un altro gruppo era ancora all’interno.Ne seguì un accanito corpo a corpo, con scontri a colpi di granate a mano, in cui — miracolosamente senza subire perdite, fummo alla fine noi a prevalere.»

OE Stellung Eiswand
La posizione di spalla del muro di ghiaccio austriaco. Illustrazione tratta da Lempruch, Ortlerkämpfe 1915-1918.
Scan0009
Posizione italiana conquistata sotto la cima della parete di ghiaccio. Illustrazione da: Lempruch, battaglie dell’Ortles 1915-1918.

«Due ufficiali — tra cui l’osservatore d’artiglieria della parete ghiacciata — e circa 30 uomini furono fatti prigionieri. Furono inoltre sottratti abbondanti scorte di viveri e armi, nonché un’intera cancelleria di compagnia, con documenti per noi di grandissimo valore: registri, istruzioni, ordini, diari, fotografie, carte topografiche, ecc. Il nemico aveva subito gravi perdite a causa delle cadute, del fuoco delle armi e delle granate a mano.

La nostra nuova truppa si insediò immediatamente nelle linee nemiche. Il contrattacco avversario, lanciato nelle prime ore del mattino del 1° settembre con riserve affrettatamente trasportate sul posto, fallì nuovamente con pesanti perdite. Gli interrogatori dei prigionieri fornirono ulteriori informazioni di grande valore per il comando della difesa.

Tuttavia, dagli ufficiali, che si comportarono con grande dignità, non fu possibile ottenere nulla, nonostante tutti gli sforzi, anche i miei personali [nota di Lempruch], cosa che voglio sottolineare espressamente qui a loro onore.» Così si conclude il resoconto di Lempruch sulla temeraria azione della Compagnia d’alta montagna alla parete ghiacciata di Trafoi.

La reazione italiana

Dopo il successo dell’occupazione della cima dell’Eiswand, si sarebbero dovuti avviare i preparativi per un ulteriore avanzamento lungo la cresta del Bäckmann verso la Thurwieserspitze e il Passo dell’Ortles. Tuttavia, l’artiglieria italiana impedì tali preparativi con un violento fuoco d’artiglieria sulla posizione austriaca della parete ghiacciata. Ben quattro batterie colpirono costantemente la cima con fuoco d’artiglieria. A complicare la situazione, si aggiungeva il fatto che la galleria nel ghiaccio, unica via di rifornimento, crollava spesso, e poteva essere riutilizzata solo dopo le dovute riparazioni.

L’impiego intensivo dell’artiglieria fu un chiaro segnale che gli italiani stavano preparando la riconquista della posizione. Dal lato austriaco, si dovette valutare se fosse giustificabile lasciare un piccolo numero di soldati di montagna, spesso isolati dai rifornimenti, esposti a un probabile contrattacco. Tuttavia, la valenza tattica della posizione era fondamentale per entrambi gli schieramenti, e così fu presa la decisione austriaca di mantenere la postazione.

Lempruch descrive l’azione che seguì nel suo resoconto con queste parole:

«Il 3 settembre, in una mattina limpida e con buona visibilità, ebbe luogo il previsto contrattacco nemico, condotto con un impiego di uomini mai visto prima, e del tutto spietato da parte del nemico. Per gli italiani c’era troppo in gioco, e solo questo può giustificare, agli occhi di una critica militare obiettiva, le misure da loro adottate. Dall’alba, un violento fuoco concentrato d’artiglieria si abbatté sulla postazione sommitale, tanto che il valoroso e ormai esperto tenente dei Kaiserjäger Kurzbauer, un viennese che quel giorno aveva il comando della posizione, dovette faticare per contenere perdite evitabili. Poi il nemico, noncurante delle sue gravi perdite, attaccò la posizione in tre forti colonne d’attacco.»

Situazione al mattino del 3 settembre 1917: avanzata degli Alpini italiani (in rosso) contro la posizione austriaca sulla parete ghiacciata. Le frecce non riescono a rendere appieno la difficoltà alpinistica dell’operazione, ulteriormente aggravata dal fuoco nemico. Carta: carta escursionistica Kompass dell’Alto Adige online; a cura di Accola

Lempruch prosegue:

“«Un reparto salì dal Passo dei Camosci, un secondo dal ghiacciaio dei Camosci in direzione nord-ovest. Un terzo si mosse lungo la cresta del Bäckmann, cioè dalla Thurwieserspitze, verso ovest. In totale, si stima che circa 450 uomini abbiano preso parte a questo attacco, cui si opponeva la nostra truppa in vetta alla parete ghiacciata, forte di soli 15 uomini. Feci concentrare tutto il fuoco dell’artiglieria disponibile in quell’area: le batterie dell’Ortles e del Pleisshorn, i pezzi della postazione Madatsch, il cannone sul Nashorn e i due obici da campo del Monte Livrio, in tutto undici pezzi, concentrarono il loro fuoco sul ristretto settore d’attacco. Dalla Königsspitze, dall’Ortles e dalle Kristallspitzen si poteva osservare come il nemico stesse subendo perdite gravissime. Si vedevano gli Alpini cadere a decine nei profondi dirupi, sia sul versante italiano che su quello nostro, precipitando dalla cresta del Bäckmann e dal Camoscigrat.

La postazione in vetta alla parete ghiacciata, guidata con risolutezza dal tenente Kurzbauer, che rimase ferito più volte, si difese eroicamente contro una superiorità numerica di circa trenta a uno.

Le sue mitragliatrici fecero strage tra i nemici che avanzavano. Presto, però, una manovra di aggiramento nemica bloccò il tunnel di ghiaccio, tagliando la ritirata al nostro piccolo gruppo. Il nemico penetrò nella posizione e la occupò. Otto uomini della nostra guarnigione caddero, gli altri rimasero più o meno gravemente feriti. Il tenente Kurzbauer fu fatto prigioniero assieme ai superstiti, dopo che questi avevano distrutto le mitragliatrici per impedirne l’uso al nemico.

La postazione in vetta alla parete ghiacciata fu dunque perduta; ma la sua difesa, paragonabile senza esitazione alla battaglia delle Termopili, rappresenta una pagina d’oro nella corona d’alloro della difesa tirolese del 1915–1918. Anche il coraggio e lo spirito di sacrificio del nemico devono essere pienamente riconosciuti. Le sue perdite sanguinose in questa azione, stimate in circa 120 uomini, non sono affatto esagerate.»

FAKE NEWS? – IL TRATTAMENTO DELLE FONTI

Come facciamo a sapere davvero cosa accadde all’epoca, e quanto corrisponde effettivamente alla verità?

L’analisi di fonti, documenti, leggende e aneddoti richiede grande sensibilità e discernimento.

 

Le fonti primarie sono considerate le più affidabili. A questa categoria appartengono i diari di reparto, così come i “documenti di guerra” tuttora disponibili, ad esempio: ordini, regolamenti di servizio, telegrammi. Tutte queste fonti condividono un criterio comune: sono state redatte al momento stesso degli eventi, ad esempio, nei diari veniva annotato ogni sera ciò che era accaduto durante la giornata, senza ancora conoscerne la successiva rilevanza storica, e inoltre, non sono normalmente disponibili in forma stampata. Tali materiali si trovano negli archivi di Stato, ma sono spesso lacunosi. La mancanza di rientro sistematico dei documenti dal fronte sud-occidentale a partire dalla primavera 1917 testimonia il collasso dell’amministrazione asburgica, fino ad allora rigidamente burocratica. Proprio per questo, il diario di reparto dell’estate 1917, che avrebbe dovuto documentare gli eventi intorno alla parete ghiacciata di Trafoi, risulta introvabile presso l’Archivio di Stato austriaco.

 

Le fonti secondarie richiedono invece una valutazione più critica. Si tratta di resoconti coerenti, basati su fonti primarie, ma redatti in un momento in cui gli effetti degli eventi erano già noti. Testimonianze di combattenti, come ad esempio l’opera di Lempruch, pubblicata nel 1925, rientrano in questa categoria. In questi casi, la presentazione dei fatti e le interpretazioni basate su ricordi o giustificazioni personali ricadono, almeno in parte, nella sfera del “dubbio”.

 

Le ricostruzioni storiografiche moderne, invece, si basano su fonti primarie e secondarie, e se ben fondate, cercano di confrontare anche fonti del “nemico”. Con riferimenti puntuali alle fonti citate, queste opere pretendono di soddisfare i criteri della ricerca scientifica e vengono pubblicate come tesi di master o persino di dottorato. Anche i contenuti di questo sito web rientrano in questa categoria.

 

Il problema delle immagini e dei numeri…

Per quanto riguarda le immagini: tutte le fotografie pubblicate all’epoca, e presumibilmente anche quelle oggi disponibili, furono soggette a censura. Le immagini approvate erano spesso appositamente messe in scena; fotografie di soldati caduti sono probabilmente sfuggite alla censura, ma sono estremamente rare.

Come per le immagini, anche i numeri hanno un forte impatto psicologico sul lettore:

le fonti italiane e quelle austriache riportano sistematicamente cifre diverse in merito al numero di soldati coinvolti. Una difesa eroica è percepita come tale quando pochi resistono con successo a molti, mentre un attacco coraggioso appare tale quando pochi riescono a imporsi contro numerosi difensori. In termini sportivi, si potrebbe dire: è come se una squadra di calcio, pur avendo subito tre espulsioni, riuscisse comunque a portare a casa un pareggio onorevole…

 

 

Truppentagebuch
Illustrazione del diario del Verteidigungsrayon I del 22 dicembre 1916 e dei giorni successivi. Nei primi giorni di guerra, le annotazioni venivano redatte esclusivamente a mano; l’inserimento aggiuntivo di strisce di telegrammi iniziò a metà del 1916.Le aggiunte scritte in blu, molto evidenti, non sono pienamente interpretabili: è però plausibile che le firme indichino l’avvenuta consultazione da parte del comandante. Non è possibile stabilire con certezza se la firma sul lato sinistro (in basso a destra) sia effettivamente l’abbreviazione autografa di Lempruch, anche se è ipotizzabile. Dai diari del Verteidigungsrayon venne redatta, dopo la guerra, una trascrizione. Vedi immagine qui sotto. Fonte: Archivio di Stato di Vienna, digitale: Archivio MUSEO 14/18.
Truppentagebuch Abschrift Dezember 1916
La trascrizione del diario mostrato sopra, anch’essa conservata presso l’Archivio di Vienna. L’identità della persona che l’ha redatta, così come la data di realizzazione, restano sconosciute. Colpisce il fatto che l’autore o l’autrice abbia già operato un’interpretazione del contenuto della fonte primaria. I contenuti dei telegrammi, per ragioni ignote, non sono stati inclusi. Il contenuto della fonte originale è stato ridotto, il che rende questa trascrizione una fonte secondaria, seppur con carattere ufficiale. “Ad Fontes” – alle fonti: ogniqualvolta possibile, è indispensabile consultare gli originali per costruire un quadro credibile. Fonte: Archivio di Stato di Vienna, digitale: Archivio MUSEO 14/18.
Zensur
Il retro delle fotografie provenienti dai settori del fronte trasmette spesso più informazioni del contenuto visivo stesso. In questo caso, l’autorizzazione alla pubblicazione di un’immagine con didascalia prescritta della “Dreisprachenspitze”. Il modulo, redatto in lingua ungherese, approva la diffusione della fotografia a condizione che venga utilizzata la didascalia ufficialmente indicata. Fonte: Archivio di Stato di Vienna, digitale: Archivio MUSEUM 14/18.
Letture consigliate
Accola, Fuhrer: Stilfserjoch-Umbrail 1914-1918, Documentazione, Miltärakademie an der ETH Zürich, Au, 2000.
Lempruch: Otlerkämpfe 1915-1918, Der König der Deutschen Alpen und seine Helden, nuova edizione, Golowitsch (Hsg), Buchdienst Südtirol, 2005.
Marseiler, Bernhart, Haller: Zeit im Eis – Gletscher geben die Geschichte frei – Die Front am Ortler 1915-1918. Uno splendido volume fotografico con immagini del tenente Franz Haller (1894–1989), dedicate principalmente ai trasporti dei cannoni sull’Ortles. L’opera è introdotta da una riflessione del figlio, Franz Haller junior. La seconda parte del libro è dedicata al recupero di reperti nelle aree di fronte, divenuti sempre più numerosi a causa dello scioglimento accelerato dei ghiacciai. Editore: Athesia, 1996.
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